Narrativa

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Rapporto tra letteratura di genere e letteratura “alta”

Per varie ragioni, la letteratura di genere è stata spesso considerata pregiudizialmente “di bassa qualità”, in contrapposizione all’ipotetica “alta qualità” della narrativa letteraria mainstream. Questo scollamento trae origine, a partire dal XVIII secolo, dall’affermazione, in ambiente anglosassone, del romance, di una forma narrativa di massa, distaccatasi dalla tradizione culturale “alta” del novel, a cui fino ad allora quel genere di romanzo era rimasto unito.

Questa gerarchia si riflette sull’atteggiamento degli stessi autori di genere, portatori di una sorta di complesso di inferiorità rispetto alla letteratura “alta”: questa soggezione psicologica si esprime (è il caso, ad esempio, dello scrittore horrorfantastico Stephen King) nell’aspirazione a un riconoscimento critico e accademico, a una collocazione nella “letteratura universale”, che superi il “peccato originale” consumatosi “alle soglie del XVII secolo”. Esistono alcuni casi, tuttavia, in cui alcuni prodotti di genere sono riusciti ad emanciparsi dalla condizione di letteratura “dozzinale”[2]: alcuni autori, divenuti classici nel filone di genere, sono “forse ormai ascritti alla ‘letteratura alta’” o, almeno, a “una zona di confine”: è il caso di Philip K. Dick, autore di fantascienza a cui sono stati dedicati molteplici studi critici e ormai entrato tra i classici della narrativa contemporanea; in ambito italiano, ad esempio, alcuni prodotti di un filone noir sviluppatosi tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo si sono rivelati capaci di esplorare il disagio della società italiana e di rappresentare, attraverso una narrazione letteraria, perfino meglio di un’inchiesta giornalistica, il degrado e le miserie della vita di provincia.